Pagare i libici come fa l’Europa, fornirgli le navi come ha fatto l’Italia, per poi lasciare morire la gente in mare. Sono 338 i milioni di euro che l’Europa ha versato alla Libia per intervenire nella propria “area Sar” in soccorso dei gommoni che partono dalle sue coste con centinaia di persone a bordo.
Uomini, donne e bambini, avviati ad un destino incerto in quel Mediterraneo sempre più segnato da lutti e trasformato in cimitero di esseri umani in fuga per una nuova speranza di vita che, purtroppo, difficilmente diventerà reale.
O non funzionano le motovedette della Guardia costiera libica che dovrebbero intervenire in caso di naufragio dei barconi, sempre più vecchi e sempre più carichi, com’è avvenuto venerdì, facendo registrare un bilancio di 117 morti, tra cui due bambini e dieci donne, come hanno raccontato i tre superstiti, due sudanesi ed un gambiano, salvati da un elicottero del cacciatorpediniere italiano Caio Duilio, che li ha trasportati a Lampedusa, o nessuno risponde al telefono in caso di chiamata, come denunciato dal personale della Ong Sea Watch, che ieri ha salvato 47 persone in un altro punto del Mediterraneo.
Qualche ora prima un gommone in fase di affondamento era stato avvistato da un aereo dell’Aeronautica militare di stanza a Sigonella che aveva lanciato due zattere di salvataggio.
Sta di fatto che 117 persone sono scomparse nel nulla, ed altre 100 da questa mattina sono in pericolo sempre a largo delle coste libiche, in balia del mare e del freddo con, stando a quanto riferisce Alarm Phone che ha ricevuto la chiamata di aiuto, alcuni morti a bordo.
La Sea Watch si sta dirigendo verso quelle coordinate ma la distanza è ancora tanta, ore di navigazione.
Un bilancio drammatico di morte, quello di questi giorni, tra l’indifferenza dell’Europa che si affida a chi non “sente” il richiamo e le grida d’aiuto che arrivano dai barconi che partono “indisturbati” dalle proprie coste, la Libia.
E la “fermezza” di un governo, quello italiano, che con la chiusura dei porti mostra i muscoli con i più deboli, le vittime, e non con i carnefici che speculano e si arricchiscono sul bisogno di “poveri cristi” in fuga da guerre, persecuzioni o povertà estrema, sperando di ritrovare una nuova vita e non, ahimè, la morte nel Mediterraneo.
Quel Mediterraneo dove “si giocheranno partite decisive per il suo destino e per quello del pianeta”, come ha recentemente ribadito il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, parlando in occasione della festa per Matera capitale europea della Cultura, in quanto “simbolo anche dei vari Sud d’Europa, così importanti per il Continente”.
Un Continente che per il momento non riesce ad indignarsi sufficientemente per questa ventata di populismo intrecciato di razzismo, di diffidenza e preconcetti nei confronti del “diverso”, dello “straniero”, trasformato, così come in Italia, a capro espiatorio di scelte e politiche economiche che hanno fatto dimenticare le “persone”, e non hanno saputo costruire quell’Europa dei popoli che sa essere solidale … anche con chi sta al di la del Mediterraneo.