Un assurdo braccio di ferro di umanità, quello intrapreso dal governo gialloverde sulla pelle di 47 esseri umani che da dieci giorni sono al freddo e alla spossatezza a bordo della nave Sea Watch 3, la Ong tedesca, con bandiera olandese, che li ha tratti in salvo lo scorso 19 gennaio nel Mediterraneo.
Alla nave, dalla sera del 24 gennaio alla fonda nella rada della Targia, tra Siracusa e Augusta, ad un miglio dalla costa siracusana, per riparare dalle avverse condizioni meteo marine, il governo ha vietato e impedito l’approdo nel porto e lo sbarco dei 47 migranti, tutti maschi, tra questi anche 13 minori di cui 8 non accompagnati, che la procura per i Minori di Catania ha chiesto vengano immediatamente fatti scendere per essere ospitati in apposite strutture.
Tutto questo con le temperature rigide di questo gennaio, riparati alla meno peggio sul ponte di una piccola nave non certo attrezzata per ospitare all’interno un numero così alto di persone, e nonostante la disponibilità dichiarata da subito dal sindaco di Siracusa, Francesco Italia, di prendersene cura, assieme alla Curia e alle tante associazioni della città.
Una situazione di grande disagio che necessita di una immediata soluzione umanitaria, viste anche le precarie condizioni di salute dei migranti, come hanno potuto verificare e testimoniare domenica lo stesso sindaco Italia, i tre parlamentari Nicola Fratoianni (LeU), Stefania Prestigiacomo (FI) e Riccardo Magi (+Europa), che insieme allo psichiatra Tati Sgarlata, e due avvocati, tra questi Paolo Tuttoilmondo di Legambiente, e alcuni rappresentanti di associazioni internazionali, sono riusciti, in modo autonomo, a salire a bordo della Sea Watch.
Una scelta quella dei tre parlamentari che dopo l’annuncio lanciato dal capogruppo del PD alla Camera, Graziano Delrio, di una “staffetta democratica” dei parlamentari del partito Democratico a bordo della nave sino a quando ai 47 migranti non sarà concesso di sbarcare in Italia, ha portato il governo, attraverso un’ordinanza della Capitaneria di Porto di Siracusa, a dare lo stop, vietando la navigazione e la sosta a mezzo miglio dalla nave.
Tantè che questa mattina al parlamentare il segretario nazionale del PD, Maurizio Martina, presente sulla costa della Targia, è stato impedito di prendere il mare e salire sulla Sea Watch 3, cosa però che ha fatto nel pomeriggio assieme al suo collega e presidente del partito, Matteo Orfini.
«Siamo venuti a conoscenza di essere stati indagati – ha dichiarato quest’ultimo al rientro -, ci hanno fatto l’elezione di domicilio perchè a quanto pare la nostra presenza sulla Sea Watch sarebbe un reato. A quanto pare ci contestano la violazione di un dispositivo di polizia. Noi riteniamo di non aver violato alcuna legge e che quanto fatto sia nelle prerogative parlamentari».
Un reato estinguibile col pagamento di una sanzione di qualche centinaio di euro, pare 103, che dunque non ha fermato la “staffetta democratica”, che ha potuto così verificare la difficile situazione che ormai si registra a bordo, con persone quasi al limite del crollo psicologico dopo essere sfuggiti alla morte e ai lager libici.
Una staffetta che ha visto presente a Siracusa anche altri parlamentari del PD, dal segretario regionale e senatore Davide Faraone al suo predecessore Fausto Raciti, al senatore ex M5S Gregorio De Falco, già ufficiale di Marina e capo sezione operativa della Capitaneria di Porto di Livorno nel 2012 durante l’incidente della Costa Concordia.
Questa sera, intanto il presidio si è spostato, con inizio alle ore 18:00, in Largo XXV Luglio ad Ortigia, a due passi da Piazza Archimede dove ha sede la Prefettura, per fare sentire al governo la voce de tanti che dicono no a questo assurdo braccio di ferro del vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, sostenuto dal collega Di Maio, che incapaci di trovare una soluzione a Bruxelles, con l’Europa, continuano a mostrare i muscoli con i più deboli, persone fragili che fuggono da guerre, persecuzioni, fame, affrontando il rischio della morte in mare dopo aver subito ogni tipo di vessazione e tortura nei lager libici da chi specula e fa business sul loro sogno di libertà.