“Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà…”
“Il giorno della civetta”, Leonardo Sciascia.
Fra qualche giorno ricorre l’anniversario dell’assassinio di Giovanni Falcone (23 maggio 1992).
Da qui a breve, inizierà la “fase virale” sui Network. Condivisioni, immagini, celebrazioni, aforismi. Tutte le Home Page, saranno un insieme di attività con le quali si ricorda, una volta l’anno, un “gentiluomo”.
Mi piace ricordarlo così.
Il 15 ottobre 1991 Giovanni Falcone venne convocato davanti al CSM in seguito ad un esposto presentato contro di lui. Per difendersi, le definì «eresie, insinuazioni» ed aggiunse «un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario». Sempre davanti al CSM Falcone, commentando il clima della sua Palermo, affermò che «non si può investire nella cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è l’anticamera del komeinismo».
Per capire cosa intendeva Giovanni Falcone, ecco le parole di Ilda Boccassini, all’indomani dell’assassinio:
“Due mesi fa ero a Palermo in un’assemblea dell’ANM. Non potrò mai dimenticare quel giorno. Le parole più gentili, specie da Magistratura Democratica, erano queste: Falcone si è venduto al potere politico… definendolo un nemico politico. Ora io dico che una cosa è criticare la Superprocura. Un’altra, come hanno fatto il Consiglio Superiore della Magistratura, gli intellettuali e il cosiddetto fronte antimafia, è dire che Giovanni non fosse più libero dal potere politico. A Giovanni è stato impedito nella sua città di fare i processi di mafia. E allora lui ha scelto l’unica strada possibile, il ministero della Giustizia, per fare in modo che si realizzasse quel suo progetto: una struttura unitaria contro la mafia. Ed è stata una rivoluzione”
Dieci anni dopo la stessa Boccassini, dichiarava in un intervista a Repubblica:
“Né il Paese né la magistratura né il potere, quale ne sia il segno politico, hanno saputo accettare le idee di Falcone, in vita, e più che comprenderle, in morte, se ne appropriano a piene mani, deformandole secondo la convenienza del momento. […] Non c’è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità. Eppure le cattedrali e i convegni, anno dopo anno, sono sempre affollati di “amici” che magari, con Falcone vivo, sono stati i burattinai o i burattini di qualche indegna campagna di calunnie e insinuazioni che lo ha colpito”
Oggi, di Giovanni Falcone, non ci rimane nulla.
Soltanto dilettanti allo sbaraglio in cerca di visibilità.
La lezione più importante che ha lasciato in eredità all’umanità, quella che, allora come oggi, non si comprende, è la necessità di instaurare un dialogo tra tutte le parti della società.
Invece di proporre insignificanti ricorsi al Tar, nella sua qualità di Giudice, si trasferì a Roma, per collaborare con il Governo di Giulio Andreotti, nella tana del nemico…
L’Italia di oggi, come quella di ieri, avrebbe accettato soltanto una discesa in campo, nella politica, nient’altro. Solo politica e potere.