Sono rare le occasioni in cui il maestro Riccardo Muti, peraltro stimolato, si è lasciato andare in qualche pensiero sulla politica. In tutte quelle volte non si può non condividerlo.
Forse, la frase che più ha colpito per la passione che sprigiona è questa: “Io sono profondamente grato al mio Paese. All’Italia devo tutto. Per questo mi fa male vederla così”.
L’Italia è un paese stonato. Eppure esiste, o meglio dovrebbe esistere, un legame imprescindibile tra musica e politica.
L’orchestra, la banda, esprime in se tutti gli elementi più alti del progresso dell’umanità. Esiste in quel luogo una totale, assoluta ed indispensabile divisione del lavoro.
L’orchestra è una società perfetta, in cui c’è un “sindaco”, se vogliamo un “premier”, che si chiama “maestro, ed ogni cittadino musicista è assolutamente subordinato, non tanto all’autorità pro-tempore, ma alla legge, allo spartito, e chi non rispetta le “regole-note” non può partecipare a quella comunità.
Nella banda ascolti musica solo se le capacità individuali, necessarie e fondamentali, sono inserite e asservite al contesto armonico che, quasi magicamente, spesso, si trasferisce anche nei rapporti umani.
La politica, considerata come comunità di eletti ed elettori, è si una banda, ma suona una musica stonata. Ognuno legge ed interpreta uno spartito diverso, anzi siamo sempre alla ricerca di partiture da solista, ma non sappiamo neppure tenere in mano lo strumento.
Nella società, come in un orchestra occorre suonare tutti la stessa musica, lo stesso spartito, altrimenti viene fuori una comunità invivibile ed inascoltabile, esattamente come la nostra.
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