
Allora, c’è un sindaco che non vuole andarsene, anzi rilancia, «Sarò al mio posto fino al 2023», ed un altro, potenziale, che vorrebbe occupare quel posto, ma non può.
Iniziamo dal primo, Ignazio Marino, della scuderia renziana.
Non si è ambientato, in nessun senso. Da lontano appare un pesce fuor d’acqua, inadatto al ruolo, avulso tanto al sistema delle tangenti di “Mafia Capitale”, quanto all’essere primo cittadino di una città che non è una città qualsiasi, è Roma.
Il secondo è Alessandro Di Battista, del rione stellato.
Negli ultimi giorni si nota in lui una qualche delusione, o forse stanchezza. Non è brillante come i tempi migliori. Non sono un ammiratore del Dibba, tuttavia una persona come lui, se sostenuta dalla città, che intanto dovrebbe votarlo, potrebbe essere il medico giusto per rianimare il morto.
Non può.
Esiste una regola, tra le poche, del Movimento Cinque Stelle, che impedisce a chi ha un mandato popolare, di dimettersi e partecipare ad altre elezioni.
In queste due faccende, apparentemente lontane, manifestamente di segno opposto c’è tutto il limite dell’Italia.
Utilizziamo sempre strumenti inadatti, rincorriamo l’emergenza, siamo costretti a darci delle regole che non ci aiutano a risolvere i nostri problemi.
La politica deve vivere nel rispetto delle leggi, ma deve darsi delle leggi giuste.
Se fossimo più maturi, elettori ed eletti, potremmo valutare caso per caso le singole questioni, ma è innato nell’uomo, elettore ed eletto, specie italiano, quel tentativo, spesso riuscito, di applicare la legge per gli altri.
Continuiamo a darci leggi assurde, che vivono contro il buon senso, e sono le solite risposte all’emergenza. Una legge è astratta e generale, non può contemplare tutti i singoli casi possibili ed immaginabili.
Pertanto, anche gli attivisti dei Cinque Stelle, stanchi di rispettare le regole, si mobilitano per convincere il capo, pur di mandare l’uomo stellato al potere, ma non si può.
Marino, sarà sindaco fino al 2023, più utile alla chirurgia che al Campidoglio, ma è felice una pasqua, e il Dibba, continuerà a parlare e non fare, nelle aule istituzionali, deluso.