
ROMA – Sono morti a causa dei diversi colpi sparati a raffica sui loro corpi, i due italiani rapiti in Libia, il 47enne carlentinese Salvatore Failla e il suo collega sardo Fausto Piano di 60 anni.
Nessun colpo alla nuca, dunque, come si era ipotizzato in un primo momento, ma la presenza di decine di colpi accrediterebbe, al contrario, la tesi dell’agguato, lo scorso 2 marzo, durante il trasferimento di due dei quattro ostaggi italiani rapiti nel luglio dello scorso anno.
Si rafforzerebbe così la notizia dello scontro armato tra forze libiche e i loro rapitori nei pressi di Sabrata. Questo quanto stabilito dall’autopsia sui corpi dei due tecnici della Bonatti, eseguita stamane dai medici legali del Policlinico Gemelli dove sono stati trasportati dopo il loro arrivo ieri sera alla mezzanotte e 40 all’aeroporto di Ciampino, e dopo il triste e commovente saluto alle salme da parte dei familiari dopo giorni di attesa a Roma. Con loro a ricevere i corpi di Failla e Piano c’era anche il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.
L’autopsia eseguita a Roma ha fatto seguito al primo esame autoptico fatto dai libici a Tripoli, contro la volontà dei familiari, in particolare di Salvatore Failla che avevano chiesto espressamente di evitare che potessero essere “inquinate” le prove dell’assassinio dei loro congiunti.
E non avevano tutti i torti se ieri i consulenti delle famiglie delle vittime hanno espresso sconcerto per il fatto che i corpi fossero stati lavati in Libia. Una decisione che rende più difficile l’autopsia successiva perché “cancella l’eventuale presenza di polveri da sparo dai fori di entrata dei proiettili“.
«Le nostre perplessità sull’autopsia eseguita in Libia si sono rivelate fondate – ha detto il legale della famiglia Failla, Francesco Caroleo Grimaldi -. Il prelievo di parte di tessuti corporei ha reso impossibile l’identificazione dell’arma usata, la distanza e le traiettorie. Non è stata un’autopsia (quella in Libia, ndr) è stata una macelleria. È stato fatto qualcosa che ha voluto eliminare l’unica prova oggettiva per ricostruire la dinamica dei fatti».
Sin qui l’avvocato che assiste la famiglia del tecnico carlentinese, che ha comunque riconosciuto l’impegno dei rappresentanti italiani in Libia che «si sono battuti per evitare questo scempio». Lo stesso legale, ha anche lasciato intendere che la famiglia è convinta che sia stato pagato un riscatto, che da fonti libiche pare essere stato trasporto insieme agli ostaggi e che poi misteriosamente sarebbe scomparso. Qualcuno afferma essere stato bruciato assieme all’auto. Ma di questo non c’è certezza.
Così come di tanti altri particolari che Rosalba, la moglie di Salvatore Failla, assieme alle sue due figlie, nella conferenza stampa indetta a Roma prima dell’arrivo del corpo del marito, ha voluto sottolineare, così come il fatto che lo Stato non sarebbe riuscito “a tutelare Salvo”.
“Lo hanno ucciso due volte” ha detto Rosalba facendo ascoltare una telefonata fatta dal marito ad ottobre, nel quale chiede aiuto e la invita a parlare con la stampa, con i tg, a smuovere qualcosa, per poterlo riportare a casa.
«Noi invece – hanno ribadito la moglie di Failla – abbiamo fatto tutto quello che ci è stato detto di fare, ci hanno detto di stare zitti e non rispondere più alle telefonate ed io ora mi sento in colpa».






