
MARCINELLE – Sessant’anni fa, l’8 agosto 1956, la strage di Marcinelle, in Belgio, nella miniera di carbone di Bois du Cazier, nel comune di Charleroi. I minatori morti furono 262, 136 dei quali italiani, e con loro altri poveri cristi anche belgi, ma molti migranti, polacchi, greci, algerini, tedeschi, ungheresi, un russo, un olandese, un ucraino.
Erano passate da poco le 8 del mattino quando l’incendio dentro la miniera non lasciò scampo a “questi musi neri”, come venivano chiamati per le facce sporche di carbone.
Una strage che parla di sicurezza sul luogo di lavoro, che in quella miniera, dove si era costretti a lavorare al limite della dignità umana, mancava del tutto.
Ma anche una strage che parla di immigrazione (oggi siamo noi ad ospitare i migranti di area “difficili“, a cui alcuni vorrebbero riservare la stessa violazione della dignità umana, come se questi 60 anni fossero trascorsi invano), di mano d’opera a basso costo, da fare stare nelle periferie, nelle fetide baracche di legno usate dai prigionieri russi durante l’occupazione nazista.
Una strage figlia di quel maledetto accordo Italo – Belga del 23 giugno del 1946, per l’utilizzo di disoccupati italiani da sfruttare nelle viscere della terra delle miniere del Belgio, per estrarre il carbone che doveva servire alle industrie italiane.
Poco importava se quei disoccupati, trattati da bestie da soma, fossero uomini, avessero figli, famiglie. Bisognava salvaguardare il “miracolo economico italiano”.
Su 275 minatori che quella mattina dell’8 agosto 1956 scesero nelle viscere della miniera di Bois du Cazier, ne risalirono vivi solo 13. Il processo, allora, così come a volte succede anche adesso, vide assolti i responsabili della miniera, e la colpa venne attribuita non ai fili scoperti lasciati lungo il percorso ma all’operaio addetto al carrello, un italiano vittima anch’egli del rogo, che uscendo dai binari e cozzando con quei fili scatenerà la scintilla e l’incendio.
Una strage che toccò profondamente il nostro Paese, come il mondo intero. Una strage che accese i riflettori sulla condizioni disumane di lavoro dei minatori e sul problema della sicurezza, ancora oggi, a distanza di 60 anni, disatteso in molti luoghi di lavoro.






