Palermo – La violenza sulle donne non ha confini, ma spesso ha le chiavi di casa. In questo caso, di una piccola casa nel cuore di Palermo.
«Diceva che non dovevamo uscire di casa, controllava il telefono, metteva la catena al computer. I miei figli non potevano andare a un compleanno dei loro amici, né dal medico, tanto meno a scuola. Io non potevo andare a lavorare».
Dopo anni di umiliazioni e ricatti, sono queste le parole di una donna mingherlina dalla voce decisa, che ha trovato il coraggio di denunciare un marito violento.
Entrambi i coniugi sono originari delle Mauritius, isole in cui la cultura religiosa riflette i diversi trascorsi coloniali e la natura cosmopolita della società e permette la convivenza di induismo, cristianesimo, islam e buddismo.
Erano sposati secondo la religione indù ma, dopo la nascita dei tre figli, lui si era convertito all’islam più radicale. Lei no. Eppure aveva accettato la sua nuova fede.
I ricatti, gli abusi, le vessazioni, le violenze fisiche rivolte a lei e ai suoi figli, quelli no: non li ha accettati.
Il marito, finito sul banco degli imputati del tribunale di Palermo per maltrattamenti si difende dicendo che voleva soltanto essere un buon padre e seguire quanto scritto nel Corano.
“Non c’è stato mai alcun dissidio per motivi religiosi” lo difende l’avvocato.
Infatti, sotto accusa non è l’appartenenza a una religione. Ma la violenza su moglie e figli.