Nella puntata di “Virus” di ieri, l’ospite politico era Alessandro Di Battista, un ottimo oratore, nulla da dire. Appariva, nell’atteggiarsi, un Matteo Renzi nella versione rottamatore, quella che precedeva la “conquista del potere“. Nei talk-show, anche la modalità con cui si appoggia il sedere sulla poltrona ha tutto un suo significato.
Quella “poltrona” riservata a Di Battista sembrava piena di spine. Ecco la famigerata allergia alle poltrone dei grillini. Poi c’era Belpietro, quello si è impossessato della poltrona e non l’ha mollata.
È l’epoca dell’immagine, quella in cui la comunicazione è soprattutto “non parlata“.
Bene, tra tutto il “parlato” una affermazione del Di Battista mi è rimasta impressa, quella relativa al pesce. Testualmente ha sostenuto, “ricordatevi che il pesce puzza sempre dalla testa“.
Di fronte alla saggezza popolare, alle sentenze giudiziose, si china il capo. Si tratta di certezze scaturite dal vissuto quotidiano, che in certe cose è meglio della scienza, che è teoria, mentre l’esperienza è pratica, è vita.
Tuttavia, di questo detto, negli anni, se ne è fatto un abuso al punto che si è perduto il suo significato “sperimentato“, per lasciare spazio alla leggenda metropolitana.
Ecco, con l’espressione il pesce puzza dalla testa, si intende quel pesce putrefatto che inizia a marcire. In altre parole, ad essere marcio è l’intero pesce, ma a puzzare, all’inizio, è solo la testa.
Che poi, se consideriamo che è la coda a sorreggere la testa, esiste un ragionevole dubbio: forse è la coda ad essere la testa?
Ma usciamo dalla pescheria ed entriamo in un aula universitaria. Qui la domanda diventa: è una società mediocre a determinare una cattiva politica o è la pessima politica che rende tale la società?
Mentre, se il luogo del contendere è un pollaio, ci affidiamo ad un enigma irrisolto, “creazionario”: è nato prima l’uovo o la gallina?
Insomma, ovunque metti piede, nell’Italia del nostro tempo, la cosa puzza.






