
STRASBURGO – Bruno Contrada, ex poliziotto e capo della Squadra Mobile di Palermo negli anni ‘70, non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa perché, all’epoca dei fatti (1979-1988), il reato non “era sufficientemente chiaro”.
A stabilirlo è stata la Corte europea dei diritti umani.
Adesso lo Stato italiano dovrà versare all’ex numero due del Sisde – l’ex servizio segreto civile, oggi Aisi – 10 mila euro per danni morali.
Secondo la Corte europea, l’Italia avrebbe violato l’articolo 7 della Convenzione europea per i diritti umani che stabilisce che non ci può essere condanna se il reato non è chiaramente identificato dai relativi codici di giustizia.
Nel caso specifico del reato contestato a Contrada, il concorso esterno in associazione mafiosa, la Corte ha riconosciuto la violazione in quanto le pene non possono essere applicate in modo retroattivo.
L’ex funzionario del Sisde, tornato ormai in libertà dopo aver scontato la pena, era stato condannato in via definitiva a 10 anni di carcere. Le accuse, mosse da diversi collaboratori di giustizia, erano di passare informazioni a Cosa nostra e di avere consentito la fuga di pericolosi latitanti, uno per tutti Totò Riina, ricevendo la copertura di vertici istituzionali.
Contrada era stato arrestato, per la prima volta, il 24 dicembre del 1992 ed era rimasto in carcere fino al 31 luglio del 1995. Successivamente, dal 10 maggio del 2007 al 24 luglio del 2008 era stato detenuto nel carcere militare a Santa Maria Capua Vetere. Poi, dal 24 luglio del 2008 era rimasto agli arresti domiciliari, nella propria abitazione di Palermo, per problemi di salute.
Nel maggio del 2007 era arrivata la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa a carico di Contrada, conosciuto per essere stato un investigatore di punta dell’antimafia, capo della Squadra Mobile di Palermo, dirigente della Criminalpol, capo di gabinetto dell’Alto commissariato antimafia e pezzo importante del Sisde.
«Sono frastornato e sconvolto» è stato il primo commento di Bruno Contrada alla decisione della Corte europea per i diritti umani sulla sua vicenda giudiziaria. «Ventitre anni di vita devastati non potrà restituirmeli nessuno – ha continuato – ventitre anni terribili per me e per le persone che mi vogliono bene, c’è stata una sofferenza incredibile che si è manifestata in qualsiasi forma: fisica, morale, professionale e familiare».
«Ho presentato due mesi fa la quarta domanda di revisione del processo e la corte di appello di Caltanissetta mi ha fissato l’udienza il 18 giugno – ha detto l’avvocato Giuseppe Lipera, legale dell’ex numero due del Sisde -. La sentenza di Strasburgo sarà un altro elemento per ottenere la revisione della condanna» ha concluso il legale di Bruno Contrada.
Per Antonio Ingroia «Bruno Contrada è colpevole e resta tale, non ci sono nuove prove e non esistono margini per alcuna revisione».
Il pm che sostenne l’accusa nel primo processo a carico di Contrada, concluso il 19 gennaio del 1996, e che dopo una requisitoria durata ventidue udienze chiese una condanna a 12 anni aggiunge: «La Corte ha preso una solenne cantonata sia in fatto che in diritto. I giudizi parlano di una violazione dell’articolo 7 della Convenzione sui Diritti Umani, ma tutto nasce da un fraintendimento: hanno pesato che i fatti contestati a Contrada non fossero punibili in assenza del reato di concorso esterno ma non è così, perché lo sarebbero stati comunque per favoreggiamento».