
Così come in autunno cadono le foglie, in primavera sbocciano i fiori ed in estate si va in vacanza (chi può), allo stesso modo ogniqualvolta si discute di “principi”, spunta una qualche frase scritta da Piero Calamandrei.
Insomma come il cacio sui maccheroni, ci sta sempre. Se si parla di Costituzione, Calamandrei c’è, se si discute di scuola, è perfetto.
A “Che Tempo che fa” di Fabio Fazio, Massimo Gramellini, per perorare la protesta del mondo della scuola contro la buona scuola ha letto il discorso pronunciato da Piero Calamandrei al 3° congresso dell’Associazione a difesa della Scuola nazionale, a Roma l’11 febbraio 1950.
Ora, mentre quando Calamandrei parla della Costituzione della Repubblica Italiana, intendiamo la stessa carta, quella partorita dai padri costituenti nel 1946, semmai è il mondo circostante che si rapporta con la carta in modo diverso, quando discutiamo di scuola, l’oggetto della discussione non è il medesimo.
Sarà che sono “ingannato dalle apparenze”, ma la scuola di oggi, non è quella del dopoguerra, sembra una brutta copia. Nella sostanza, oltre ad essere cambiato il modo in cui tutti noi, alunni, genitori ed insegnanti, ci rapportiamo con la scuola, è proprio mutata la scuola intrinsecamente.
Questa scuola assomiglia alla politica, si specchia nella società ed è diventato un luogo, per farla breve, in cui il merito conta poco più di niente.
Da questo punto di vista è nulla la riforma di Matteo Renzi, ed è fuori strada la protesta del mondo scolastico.
A meno che non vogliamo altro, e allora è Piero Calamandrei che non centra.