In questi giorni si parla tanto di coerenza contrapposta all’incoerenza. Il tema è semplicemente accattivante, lo è al punto che, a costo di apparire incoerente, ma non è una novità, si rende necessaria una riflessione sulla “follia dell’incoerenza”.
Prendiamo la natura, quello che insiste sulla terra, che calpestiamo e vediamo, ci appare irreale, disordinato, quasi fuori posto, ma in questa “imperfezione apparente” si sprigiona quel suo essere sublime.
A differenza delle produzioni umane, che sono “apparentemente perfette”, simmetriche, dove ogni cosa è al suo posto, ma spesso non funzionale, la natura partorisce dalla sua apparente imperfezione una funzionalità assoluta, pur nascondendo il suo essere compiuto.
Di più, quell’apparente imperfezione della natura, eccita l’intelletto umano, che nella sua maggiore estensione, produce una serie di azioni volte a trasformare quella compiutezza, modificandola ai nostri occhi, rendendola illusoriamente perfetta, quindi umana, per cui mortale.
La stessa cosa accade nel rapporto tra coerenza ed incoerenza, dove la coerenza è apparente, mentre l’incoerenza è sostanziale, al contrario del sentir comune.
L’artifizio della coerenza serve soltanto per decantare ed auto stimare la nostra apparente perfezione. Il coerente veste lo stesso abito per ogni occasione, senza considerare che il contesto è in continua evoluzione, Eraclito la diceva così: “è impossibile bagnarsi due volte nello stesso fiume”.
Nell’esercizio della coerenza esiste quel tentativo illusorio di fare del “pensare” una scienza, “una matematica”.
La coerenza apparente è una brutta bestia, è causa di molti mali, accompagna spesso l’ignoranza e la presunzione, ma queste sono già altre aporie.