Divieto di dimora nelle province di Palermo e Trapani per Pino Maniaci. L’impegno antimafia e il “piccolo potere personale”

Pino Maniaci
Pino Maniaci

L’impegno antimafia (ma si può dire anche di quello politico o sociale a più ampio raggio, quelli che toccano e affrontano seriamente i problemi dei cittadini)  è fatto anche di momenti, soprattutto,  nei quali si viene triturati, screditati e scherniti agli occhi dell’opinione pubblica, per renderti non credibile, per vanificare, se fai ad esempio anche informazione, le inchieste e le denunce che ti vedono protagonista.

È una sorta di “controinformazione” al negativo, i cui riflettori in questi anni hanno interessato, e tuttora interessano,  anche la piccola televisione di Partinico, Telejato, e il suo direttore Pino Maniaci, del quale, in questi lunghi anni che ci separano dalle stragi mafiose, abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare l’impegno antimafioso e civile, tanto da farne un simbolo. Non solo ad apprezzare, ma il più delle volte anche a sostenere,  così come tanti di noi hanno fatto con tante altre realtà, per fortuna esistenti e vive in questa terra martoriata dal potere politico-mafioso e dal gattopardismo imperante.

Nella vicenda che vede coinvolto Pino Maniaci, accusato di estorsione ai danni di due sindaci, quello di Partinico e Borgetto, per pochi spiccioli, 100-450 euro, e per un posto di lavoro per l’amante (per addolcire i suoi attacchi in televisione nei confronti degli amministratori), come si sente nelle intercettazioni pubblicate dai media, di cui è giusto e doveroso si occupi la magistratura, che intanto ha fatto scattare nei suoi confronti la misura cautelare del divieto di dimora nelle province di Palermo e Trapani, quello che più ci colpisce, come giustamente ha scritto oggi sulla sua pagina Facebook, Claudio Fava, vice presidente della Commissione antimafia, giornalista antimafia dalla schiena dritta come suo padre Pippo Fava, direttore de I Siciliani ucciso dalla mafia, è la “troppa” personalizzazione che si fa dell’impegno antimafia per trasformarlo in  “piccolo potere”, “in vanità”,  per soddisfare interessi “personali”.

E in virtù di ciò, come si sente ancora nelle intercettazioni che riguardano il direttore di Telejato,  non ci si fa scrupoli ad utilizzare vicende del tutto personali e a mistificarle in  impegno civile, approfittando della buona fede e della solidarietà sincera di tante persone che, come ha sottolineato Fava, “ci hanno messo la faccia” accanto a quella di Maniaci, per dare supporto alle battaglie legalità e alle denunce fatte.

Fa bene Fava a  ricordare il valore dei premi che in questi anni Pino Maniaci ha ricevuto per quel suo impegno, e che lo stesso in una intercettazione “schernisce”. Maniaci, ricorda Fava, ha anche ricevuto il premio Francese dedicato al giornalista siracusano ucciso dalla mafia per aver tenuto la “schiena dritta”. Un premio che, se le intercettazioni risultano vere, Maniaci, come suggerisce giustamente il vice presidente della Commissione antimafia, farebbe bene a restituire, perchè: “Tra tutti i miserabili pennacchi che l’antimafia può mettersi sul cappello, la morte di un giornalista è il più osceno”.

Ecco, su tutto ciò che si sente in quelle intercettazioni, al di la della pochezza  delle piccole storie amorose private e del “ricattuccio” da “scassapagghiaru di periferia” ai sindaci, di cui dovrà rispondere alla sua coscienza e ai magistrati, quello che Pino Maniaci dovrà spiegare a tutti noi, a quelli che, nello spirito di un impegno civile ritenuto indispensabile per il riscatto e la crescita della Sicilia, hanno creduto e supportato le sue battaglie, ed hanno fatto quadrato attorno alla sua persona, è quella che Claudio Fava ha definito “la ridicola vanità” di quelle parole riguardanti il “potere”  costruito sul dolore e il sangue dell’antimafia.

Aporie | “Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini”

Porta a Porta
Porta a Porta

Quindi, al figlio di Totò Riina, per presentare il suo libro, è stata concessa una vetrina importante: “Porta a Porta”.

Manco a dirlo… “fu polemica”.

Il dibattito che ne è venuto fuori, però, è strampalato, strumentale e fuorviante.

Rosy Bindi ha parlato di “negazionismo”, altri dell’istituzione del reato di “Apologia di Mafia”. Poi,  “in questa libreria non si vende e non si ordina il libro di Salvatore Riina”… condivisioni e mi piace. Ancora, raccolta di firme per chiudere Porta a Porta.

Ora, la storia del giornalismo è anche fatta di leggendarie interviste a capi mafia veri. Il punto non è “l’intervista al mafioso”, quanto i suoi contenuti, le domande e le risposte. L’intervista di Bruno Vespa a Salvatore Riina, manca di domande, risposte e contenuti.

Il figlio del “capo dei capi”, non ha nulla da raccontare, solo gossip, come la pubblicazione delle intercettazioni senza alcuna rilevanza penale, utili per l’ audience.

Che poi, quello che ha fatto Bruno Vespa con Salvatore Riina, lo fanno altri con Massimo Ciancimino. “Dice…” ma quello si è “pentito”, ci sarebbe da discutere anche su questo, e comunque, da lì, a diventare icona dell’antimafia, con l’abbraccio in pubblica piazza, ne passa. Eppure, Massimo aiuta, e anche Salvatore.

Se la logica è quella venuta fuori dal pseudo dibattito, non si può intervistare un mafioso o comprare un suo libro, vuol dire che anche Pippo Fava va accusato di apologia di mafia e di conseguenza cancellata, dalla storia del giornalismo, una delle sue perle più preziose, l’intervista a Genco Russo.

Il filologo Luciano Canfora, scrive: “… se si esamina Mein Kampf di Hitler – lettura che a mio avviso andrebbe fatta, vietarla è assurdo..

Non facciamo anche noi…. “… là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini”. Altrimenti siamo come gli altri.

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