Libia, le fiamme dietro l’uscio di casa nostra. Renzi: “Occorre saggezza, prudenza e senso della situazione”.

Il conflitto in Libia
Il conflitto in Libia

Siracusa – Sulla Libia, occorre “saggezza, prudenza e senso della situazione”. Queste le parole espresse in una intervista al Tg5 dal capo del Governo italiano, Matteo Renzi, che ha sottolineato come “La vicenda è problematica, la seguiamo con grande preoccupazione e attenzione, ma non si passi dall’indifferenza totale all’isteria e a una reazione irragionevole“.

Già, passare dall’indifferenza a reazioni irragionevoli, il passo e breve, e qualche volte ci sono caduti anche gli italiani, ma allora il pericolo era lontano dai nostri confini, se si fa eccezione per il conflitto nei Balcani, oggi al contrario quanto sta avvenendo in Libia si può dire sia proprio dietro l’angolo di casa nostra.

Nostra, di noi siciliani, vista la distanza che ci separa da quella che fu una  “colonia italica” e il regno ultra quarantennale (1969-2011) di Gheddafi. Un Paese nostro dirimpettaio nel Mediterraneo che oggi è messo a fuoco e fiamme dall’avanzata delle truppe jihadiste dell’Isis, dove lo Stato islamico ha già creato un “Califfato”.

Le minacce di questi giorni nei confronti dell’Italia, inserita così come altri Paesi europei e gli Usa nell’elenco dei nemici dello Stato islamico, non vanno sottovalutate e di certo devono avere tutta l’attenzione possibile. Da tempo l’Isis mostra la violenza e il terrore di cui è capace, l’ultima uccisione a sangue freddo avvenuta in Libia di 21 cittadini egiziani sol perché cristiani copti, è a dir poco drammatica.

Come drammatici sono gli sgozzamenti di giornalisti e cooperatori internazionali, le uccisioni di bambini e donne indifese, le stragi come quelle di Parigi. Tutto questo da qualche tempo è avvenuto e avviene dietro le nostre tranquille serate sanremesi o carnecialesche, e non si tratta delle minacce missilistiche, più “rumorose” che di sostanza, degli ’80 di Gheddafi verso Lampedusa e la Sicilia.

Oggi la “guerra santa” jihadista non sta scuotendo solo il Canale di Sicilia, ma il mondo intero, e allora, forse, bisognerebbe che la comunità internazionale, spesso “distratta” (basti ricordare il dramma curdo così come i tanti conflitti dimenticati che non hanno lo stesso interesse economico per i Paesi ricchi che anzi vi vanno a vendere armi, Italia compresa), o altrettanto spesso troppo “condizionata” (la guerra in Iraq parla da se), inizi veramente a mettere in campo tutti gli strumenti diplomatici per arrivare a soluzioni di pace.

Ma da subito, non quando i conflitti sono già fiamme alte che trasformano in cenere tutto quello che incontrano. Così fu nei Balcani, così sta avvenendo nella vicenda ucraina e nella guerra islamica.

Oggi che i nostri diplomatici ed i nostri connazionali sono stati costretti a lasciare la Libia, e le fiamme sono arrivate dietro l’uscio di casa nostra, ci si pone il problema se intervenire militarmente con l’invio di truppe e di mezzi.

In parole povere, se fare la guerra, noi che per scelta dei padri costituzionalisti nei principi fondamentali della nostra Carta (art. 11) ripudiamo “la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

C’è da stare preoccupati, una notizia di queste dovrebbe quantomeno scuoterci.

Per il momento ci rassicurano, e vogliamo augurarci che le mantenga a lungo smentendo tutte le voci che come sempre in questi casi si rincorrono, le parole del presidente del Consiglio, “non è tempo per un intervento militare”, occorre “”saggezza, prudenza e senso della situazione”.

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