Leggevo, in questi giorni, dell’assenteismo dei politici sul luogo di lavoro, allucinante. Quello del politico è un’occupazione fissa a tempo indeterminato e per tutta la vita, altro che articolo 18.
Questa cosa mi ha fatto venire in mente mio nonno, un tipo “sciampagnusu”.
Bene, agli inizi degli anni settanta, aveva una radiolina, che ogni tanto l’ascoltava. Non era interessato alle notizie di politica, ma seguiva con passione, tutti i giorni, il conduttore di GR Parlamento, il quale iniziava le trasmissioni sempre con la stessa frase: “Sono aperti i lavori del Parlamento”. A quel punto, spegneva la radio e con disappunto ribadiva: “Come si fa a chiamarlo lavoro, li vorrei qui a mietere e zappare, un paio di giorni…”. E ritornava a “sudare”.
Ma nel “mestierare” in politica, c’è un altra questione, quella legata allo stipendio, che non basta mai. Sempre più spesso, si sente dire dai politici, a 10 mila euro al mese, che non arrivano a fine mese. Se mio nonno avesse ascoltato questo tipo di “esternazioni”…
Si dice in giro che qualche politico in difficoltà, per risparmiare ha puntato dritto allo sciopero della fame.
Ma ritorniamo a mio nonno. Con i democristiani “se la passava bene”, godeva della campata tranquilla, ma come oggi, anche a quei tempi, c’era un leit motiv, una tonalità di fondo, una colonna sonora che scandiva il dibattito pubblico: l’antipolitica.
Anzi. Per amor della precisione, c’è una differenza con il passato. I lavori del Parlamento, erano e sono uguali, allora come oggi, parole, solo parole inconcludenti.
Il popolo sovrano, spenta la radio, a quei tempi lavorava. Oggi dopo aver chiuso Facebook, apre Twitter, poi Google, ma di lavoro, per un infinità di motivi, “manco a parlarne”.