Referendum, vince il NO col 59,11%, Renzi battuto di larga misura si dimette, ma da solo vale un 40% che fa pensare

Renzi durante la conferenza stampa di ieri sera a Palazzo Chigi accompagnato dalla moglie Agnese
Renzi durante la conferenza stampa di ieri sera a Palazzo Chigi accompagnato dalla moglie Agnese

«Volevo cancellare le troppe poltrone della politica: il Senato, le Province, il Cnel. Non ce l’ho fatta e allora la poltrona che salta è la mia».

Così il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, segretario nazionale di quel Pd diviso che governa l’Italia, ma che ieri ha perso in modo alquanto evidente il Referendum sulle riforme costituzionali volute dal suo premier, assestando il SI al 40,89% contro il 59,11% della corazzata dei NO, quella che va dai partigiani dell’Anpi, passando per la minoranza riformista dello stesso Pd, alla Cgil, al M5S, alla Lega, a Berlusconi e alla sua Forza Italia, ai Fratelli d’Italia,  alla Sinistra Italiana, Sel, al Partito Comunista, Rifondazione comunista, i Cobas, e arrivando sino all’estrema destra di Casa Pound.

Coerentemente con quanto annunciato non appena iniziata l’avventura referendaria, trasformando erroneamente il voto alle riforme in voto politico sul suo governo (pagandone oggi lo scotto), Renzi ha così rassegnato le dimissioni nelle mani del presidente della Repubblica, che adesso dovrà decidere il da farsi: dare un nuovo incarico di governo (tecnico o in continuità), o congelarle, come pare avverrà, sino al varo della Legge di Stabilità.

«Nella politica italiana non perde mai nessuno, non vincono ma non perde mai nessuno. Dopo ogni elezione resta tutto com’è. Io sono diverso, ho perso e lo dico a voce alta, anche se con il nodo in gola. Perché non siamo robot».

Già non siamo robot, e gli italiani, a quanto pare, hanno accumulato la rabbia dei tanti problemi non risolti in un Paese che non è ancora uscito dalla crisi economica, in particolare nelle regioni del Sud e tra i giovani, quelli che più di tutti vivono il dramma del reddito e del lavoro che manca, dell’emigrazione, e delle emergenze sociali.

Il più forte e consistente NO alle riforme si è registrato proprio in queste regioni (Sicilia, dove governa il Pd, 71,58% contro il 28,42% dei Si – in provincia di Siracusa, quasi del tutto in mano al Pd e area di governo, 71,75% contro il 28,25% del Si)  e tra queste fasce sociali, così come, stando alle prime analisi, tra gli ex precari della scuola che dopo vent’anni sono passati di ruolo, sol perché assegnati lontani da casa; tra i precari della pubblica amministrazione, dimenticati da decine di governi, e che adesso  dovrebbero trovare garanzie per la loro stabilità nella prossima finanziaria; tra i tanti lavoratori dipendenti che intascano i famosi 80 euro; tra i dipendenti del pubblico impiego che si sono visti rinnovato il contratto dopo 7 anni; tra i pensionati che hanno avuto accordati aumenti sulle quattordicesime o tra i futuri pensionati ai quali è stata aperta una finestra di pensionamento anticipato con l’Ape; e così via.

Poco importa se le imprese del Sud potranno assumere, se lo vorranno, come aveva anticipato Renzi nei giorni scorsi nel suo tour meridionale, sgravati della parte contributiva, quella che appesantisce il costo del lavoro, o come poco hanno contato i finanziamenti assegnati con il Patto per il Sud per le infrastrutture, la ristrutturazione e la manutenzione delle scuole e di importanti arterie stradali, che significano apertura di cantieri e lavoro.

Chi ha la pancia vuota o è stato costretto a lasciare la propria terra, difficilmente va a fare comparazioni, e il dire SI a riforme come quelle costituzionali, anche senza entrare nel merito, suona come stare dalla parte del governo. E allora il rigetto diventa naturale, e su questo hanno giocato alcune forze politiche, non tutte a dire il vero, rispetto all’ampio e legittimo schieramento di chi voleva il “salvataggio della Costituzione”.

«Lasciamo la guida del Paese con un’Italia che ha finalmente una legge sul terzo settore, sul dopo di noi, sulla cooperazione internazionale, sulla sicurezza stradale, sulle dimissioni in bianche, sull’autismo, sulle unioni civili. Una legge contro lo spreco alimentare, contro il caporalato, contro i reati ambientali. Sono leggi con l’anima, quelle di cui si è parlato di meno ma a cui tengo di più. Lasciamo infine l’Italia con un 2017 in cui saremo protagonisti in Europa a marzo con l’appuntamento di Roma per i sessant’anni dell’Unione. Saremo protagonisti a Taormina a maggio per il G7. Saremo protagonisti con la presidenza de Consiglio di sicurezza dell’Onu a novembre».

Questo il quadro del lavoro svolto, in questi mille giorni di governo, che Renzi ha fatto ieri sera subito dopo lo spoglio e il risultato della bocciatura delle sue riforme della Carta Costituente. Questa anche l’agenda del quale il prossimo presidente del Consiglio incaricato da Mattarella dovrà tenere conto.

Questa sarà la parte più delicata del dopo Referendum, anche perché qualcuno ancora ricorda la festa per la fine del governo Berlusconi, nel 2011, e l’arrivo di Monti e delle sue strenne natalizie con  lacrime e sangue per gli italiani.

Di Renzi, al di là dell’arroganza di cui l’accusano, quella  iniziale del mancato dialogo con le forze sociali (oggi superata dai recenti protocolli sottoscritti, vedi pensioni e contratti), o di quella mostrata nel non aprire sino in fondo un confronto con le forze politiche in parlamento, che lo hanno accusato di essere “l’uomo solo al comando”, una cosa però va detta nell’evidenza del voto referendario: da solo contro tutti, anche contro una parte del suo partito, è riuscito ad ottenere il 40% dei consensi.

Un dato non indifferente, visto che il voto referendario, senza tanto nascondersi dietro un dito, ha avuto forti e profondi contenuti politici contro il premier da parte delle forze politiche (non certo da parte dei comitati civici e tematici sul No alle riforme).

E se si votasse con l’Italicum sarebbe già “quell’uomo solo al comando”, vista l’incompatibilità politica a stare insieme di molte di quelle forze che oggi festeggiano per la vittoria del NO al Referendum.

Sarebbe  difficile (ma non impossibile, come ci insegna la politica italiana) vedere M5S e FI, ovvero Grillo e Berlusconi  insieme, magari con la benedizione della Lega e di Fratelli d’Italia della Meloni.

E a loro volta insieme a Sinistra Italiana, Comunisti, Cgil, e Casa Pound.

«Arriverà un giorno in cui tornerete a festeggiare una vittoria e quel giorno vi ricorderete delle lacrime di questa notte».

Ha detto tra le altre cose Matteo Renzi, nel suo discorso di ieri sera dopo il voto, ai sostenitori del SI, ovvero a quel 40%.

Certo, chi verrà dopo di lui, se ha i numeri, quella legge elettorale potrà sempre cambiarla. Forse.

I Cinque Stelle. Un nuovo “mascarato”

Il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo
Il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo

Tra gli analisti dei ballottaggi mi ha intrigato la tesi esposta nel blog del Fatto Quotidiano del maestro e giornalista Alex Corlazzoli. Condivido pochi suoi pensieri, ma trovo interessante leggerlo.

L’ultimo colpo del maestro si intitola: “Non hanno vinto solo i 5 Stelle ma le persone normali”.

Detta così, mi è sembrata la solita boutade antirenziana, anche perchè, appena sopra, c’era un altro articolo che spiegava, “Perchè il renzismo sta sulle palle a tutti

Ho pensato ai soliti “fattacci faziosi” dei blogger del Fatto, incapaci di guardare le sfumature ed colori interi, che esistono tra il bianco ed il nero.

No. Per una volta mi sono, quasi, sbagliato.

Ho letto l’interessante articolo di Alex Corlazzoli. Ha fatto centro, uno solo, il resto sono le solite “lucubrazioni” antirenziane. La gente “normale” ha votato volti “normali”. Questa è stata la percezione del popolo normale e vincente, rispetto agli anormali perdenti.

Detto questo, rimangono le “anormalità” che normalmente si leggono sul Fatto. Collegare la sconfitta del premier alle imposizioni dall’alto delle riforme sulla Buona Scuola  o sulla Costituzione è fuorviante.

Diciamoci la verità. Matteo è furbo, ed al cospetto della giovane età, è un politico navigato, però c’è una pregiudiziale nei suoi confronti che prescinde ed è antecedente ai suoi provvedimenti. Qualsiasi apertura iniziale di Renzi è stata “bollata” come indiscutibile. Di più, non solo il fronte del NO non ha inteso discutere alcun provvedimento, ma  l’avanguardia, sempre del NO, ha vietato proprio di parlare con il premier.

Sostenere infine che “ha perso il leaderismo (i due Matteo, Berlusconi) e il partitismo”, mi sembra paradossale.

E Beppe Grillo? Il leaderismo di Beppe Grillo dove lo mettiamo?

Non c’è leader più leader di un capo come Beppe Grillo. I rappresentati del popolo grillino si ostinano a chiamarlo garante, ma il popolo lo considera capo gregge, a tutti gli effetti.

È accaduto semplicemente che, nella percezione del popolo sovrano normale, i rappresentanti dei Cinque Stelle sono considerati normali, e soprattutto sperano che il nuovo capo gli risolva qualche problemino.

Però, in tutta questa storia, non c’è nulla di nuovo.

Il movimento diventa sempre più partito del popolo, come gli altri, e sarà costretto, suo malgrado, a passare dall’antipolitica alla politica, e quindi essere tutto ed il contrario di tutto. A quel punto i volti non saranno più normali, saranno percepiti come  “anormali”, nel frattempo arriveranno altri “normali” con volti normali a “sfanculare” ed “asfaltare” gli ex volti normali.

La novità di 5 Stelle, nei fatti non c’è.

Il vero nuovovolto normale”, decisivo e definitivo è quello di un popolo normale che si interessa dei propri problemi senza avere come fine, nè principale nè secondario, il potere.

Quello si, è un popolo forte, a cui non serve scendere in piazza a cose fatte per “demolire” le decisioni del governo, e per meri scopi di potere essere strumentalizzato a destra e a manca. Quello sarebbe un popolo non interessato al potere, ma a quello che “produce”.

Questo nuovomascarato” è soltanto un competitor, come gli altri, nel campionato italiano del potere.

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